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ARCHEOLOGIA
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Il senatore reatino Quinto Assio possedeva nel territorio di Rieti due ville: una in Rosea e una nell'ansa del Velino (ad angulum Velini).
Ospiti di Assio furono il Console Claudio Fulcro e M.T. Cicerone, che fu condotto da Assio a vedere le Sette Acque.
La villa ad angulum Velini è indentificata con qualche probabilità in un complesso imponente di ruderi in voc. Grotte San Nicola (o Grotte Paparelli) a circa 13 km. da Rieti sulla Via per Terni, tra la Spera (territorio del Comune di Rivodutri) e il Bivio per Colli sul Velino (territorio del Comune di Colli sul Velino), in località panoramica che domina tutta la valle fino a Rieti e oltre; sotto scorre il canale di S. Susanna le cui sorgenti (septem Aquae) non sono molto distanti.
Si tratta di resti delle costruzioni di un avancorpo che si estendono per una lunghezza di 130 mt. circa e l'altezza di circa mt. 7 costituiti parte in blocchetti di pietra, parte in opus incertum, parte in reticolato.
Nelle mura laterali dell'avancorpo si aprono una serie di nicchie mentre la fronte è divisa da soli pilastri costruiti a strati alternati di pietre squadrate e di opus incertum; i fondi delle nicchie sono in opus incertum, le volte in opere a sacco.
I sotterranei, in parte praticabili, si estendono per una novantina di metri. Nel 1902, durante lavori campestri, si trovarono nei pressi fistule acquarie, una conserva d'acqua, nonché monete di varie epoche. La conserva d'acqua misura mt. 9,50 x 4,50 ed è profonda mt. 3,50; è divisa da due fila di pilastri che sostengono la volta mediante cinque archi a tutto sesto.
Le fistule recano le seguenti scritte: Ti Claudi Saturnini/Geminus Q Petili Agricol (ae) ser(vus) fec(it) e Sex. Vetulenus Cresces fec (it); se esse sono in rapporto con la villa, si potrebbe avere un indizio sui suoi nuovi proprietari: Ti Claudio Saturnino e forse Q. Petilio Saturnino (2).
Le Sette Acque dunque corrisponderebbero alle sorgenti del Santa Susanna.
II nome di Utri compare la prima volta nel 1010, nella donazione di Tr ansarico di Manfredo di Rieti al Monastero di Farfa:" Insuper concedo me portionem... ubicunque in Comitatu Reatino... cum portione mea de ecc sia S. Gregori et S. Liberatoris cum portione mea de molendinis de Caicla et in Cesarano, et in U T R I, et in Camarda foris ipso castello ".
Negli statuti di Rieti è detto RIGOTUTRI.
Secondo il Vittori il nome deriverebbe dal fatto che il colle su cui se il paese è solcato di qua e di là da due ruscelli (Rivus utrinque o Rigati trinque).
Altri, aggiunge il Vittori, lo chiamano Velutri e lo ritengono termine corrotto di Velumbri. Velumbri o Veilumbri erano detti gli antichi Umbri, che abitarono anche nell'agro reatino , e Veilumbria l'antica Umbria.
Se tale ipotesi fosse vera, Rivodutri sarebbe un paese d'antichissima origine.
È detta La Pureia nella bolla di Anastasio IV del 1154 e in quella di 'Lucio III del 1182, dove si nomina il monastero o oratorio di S. Valentino "dela Pureia" o «in Pureia».
Il nome di «Pulegia» ricorre spesso negli Statuti di Rieti e nelle carte dell'archivio della cattedrale: nel 1297 Nicolò di Cere di Pulegia fece testamento ordinando molti pii legati; il 9-7-1448 Giovanni di Pulegia lasciava in testamento la dote per la erezione di una cappellania nella cattedrale di Rieti. Nel 1381 compare fra i nobili di Rieti Coluctia de Pulegia.
Fece parte con altri villaggi della così detta «Contrada Berardesca», che comprendeva Apoleggia, Labro, Agnese, Melese, Monterotondo, Miranda, Rocca di Luco, Piediluco, Moggio, Buonacquisto ed altri villaggi distrutti; Apoleggia anzi era considerata il capoluogo di questa contrada, detta Berardesca ancora ai tempi del Vittori, dal signore di quelle terre Berardo dell' Arrone o Arroni.
Il nome di Apoleggia deriverebbe secondo alcuni dalla celebre famiglia romana Apuleia e sarebbe stata fondata da uno dei suoi membri. Potrebbe essere stato Quinto Apuleio Pansa, che nel 433 a.C. fu in Umbria a cor tere contro Nequino (sul luogo dell'attuale Narni), ma non sembra verosimile.
È più probabile che il suo nome derivi da puleio erba odorosa che| abbonda nelle sue vicinanze e stimata come il pepe presso gli indiani, secondo la testimonianza di S. Girolamo citato in Graziano .
Sono nominati nel lib. 3° cap. 104 degli Statuti di Rieti. Le Rocchette stavano sopra Poggio Bustone, Cocoione sopra Rivodutri.Alla distruzione di essi, gli abitanti di Rocchette si unirono a Poggio Bustone, quelli di Cocoione scesero a Rivodutri (bolla Urbano VIII - luglio 1628).
(Le notìzie riportate sono state, in parte, tratte dallo studio effettuato a Rivodutri nel 1976 dal C.S.E.P. (Centro Sociale Educazione Popolare). A detto studio il Prof. Cesare Veruni ha dato un valido contributo nella stesura della ricerca.)
II nostro paese è ritenuto, da alcuni storici, una delle colonie fondate da Enotrio, figlio ultimo del re d'Arcadia quando costui si stabilì in Italia. Varie sono le supposizioni sull'origine del nome «RIVODUTRI»; l'Angelotti lo chiama «LI VEDUTRI» e lo dice così chiamato «quasi a duobus rivulis circundatum».
Un'altra supposizione è quella secondo la quale il villaggio si chiamasse «RIVO» prendendo il nome da due fossi che lo circondano e che cambiasse nome in RIVODUTRI, in seguito all'unione di altro paese esistente in territorio di Cantalice e chiamato UTRI.
Gli abitanti di Utri, stanchi dei continui ladroneggi subiti da orde di invasori, avrebbero deciso di ricoverarsi a Rivo.
Più tardi si unirono anche gli abitanti di Cocoione e Rocchetta.
Precedentemente al 1300 non si hanno testimonianze concrete sul nostro paese, tranne una breve citazione. Quest'ultima si riferisce ad una antica tradizione secondo la quale un rappresentante di ogni paese il giorno dell'Ascensione si recava a Rieti per portarvi un cero. Nell'elenco dei paesi partecipanti figura anche il nome di Rivodutri.
Il nostro paese attraversa un periodo importante negli anni che vanno dal 1375 alla prima metà del '500, in seguito agli eventi politici sorti e sviluppatisi in Rieti.
Il 1° ottobre 1375 scoppia, in Rieti, una violenta ribellione contro i Riformatori papali, inviati dai papi avignonesi, a reggere la città e le terre dello stato della Chiesa e dimostratisi estremamente tirannici, corrotti, rapaci a danno dei popoli soggetti.
In Rieti era riformatore messer Pietruccio da Chiavano che colto di sorpresa dal moto insurrezionale, è costretto a fuga precipitosa.
La maggioranza dei guelfi, di tendenze conservatrici e fedeli alla chiesa, era incline a non spingere la ribellione a conseguenze estreme.
Comunque alcuni guelfi reatini, che avrebbero voluto lottare ancora contro il papa avignonese per difendere gli antichi privilegi di larghissime autonomie politiche ed amministrative concessi a Rieti da Papa Innocenze III dei Conti di Segni, furono cacciati dalla città.
Essi allora, con la complicità di Ludovico e di Cola di Domenico di Martino, di Cola di lacobetto o di Ciufolone, di Cola di Sagio, caporioni dei rivoltosi nel castello di Rivodutri e spalleggiati da alcuni abitanti di Poggio Bustone, suscitavano, nell'anzidetto forte castello un moto ostile al Comune di Rieti , vi si rifugiavano ed arroccavano, facendone base di operazione contro i reatini, alleandosi con gli abitanti di Cantalice, Lisciano, Lugnano, S. Rufina e Cittaducale.
In seguito i fautori di una politica più energica nei confronti delle esigenze della Chiesa rivolta a ridurre le autonomie politiche e amministrativedi Rieti vanno ad ingrossare in Rivodutri, le fila di quelli che già vi si trovano e la guerra contro il Capoluogo riprende più virulenta.
Rieti, per difendersi, è costretto ad assoldare «lance» italiane ed arcieri ungheresi sicché, assieme ad un piccolo esercito cittadino, si inizia l'assedio del castèllo di Rivodutri
Nel frattempo Papa Gregorio XI convinto ormai della buona fede e della lealtà dei reatini, incarica messer Andrea Capocci da Viterbo, di iniziare e condurre avanti trattative per mettere fine alle lotte faziose interne di Rieti e di ricondurre Rivodutri all'obbedienza.
La conclusione della pace (4 giugno 1377), isola i fuoriusciti reatini e i ribelli locali assediati in Rivodutri e facilita le trattative coi primi che, previo giuramento di fedeltà al reggimento comunale della città, sono riammessi in Rieti, ad eccezione di diciannove di loro, per i quali il bando viene confermato «sine die».
Il 20 ottobre 1377 e il 3 febbraio 1379 gli abitanti di Rivodutri rivolgono due petizioni al Comune di Rieti. Nella prima, chiedono che i ribelli condannati a morte, al bando o a pene pecuniarie, previa cancellazione delle condanne possano tornare ad abitare nel castello perché, in caso contrario, le famiglie che ancora vi dimorano, legate quasi tutte da vincoli di parentela o di consanguineità coi condannati, sarebbero costrette ad abbandonare le loro e cercarsi nuove residenze.
Nella seconda, dopo aver fatte presenti le condizioni di miseria in cui tutti gli abitanti del castello sono stati ridotti in conseguenza delle operazioni di guerra e di devastazione subite, domandano l'esenzione, per un anno, di tutte le imposte e gravezze.
Le petizioni vengono accolte e più tardi il 13 maggio 1394, saranno condonate le condanne anche ai caporioni dei ribelli del 1375 e, segnalameli a Ludovico ed a Cola di Domenico di Martino. Ma poco più tardi, nel 1397, il primo dei due sopra ricordati fratelli viene ucciso, senza che i documenti rivelino se l'assassinio sia stato motivato da rancori politici o privati.
Nel luglio del 1398, l'esercito del Viceré degli Abruzzi invade il territorio nord-occidentale del contado e del distretto di Rieti, portandovi la desolazione.
Il castello di Apoleggia è messo a sacco e danni subiscono le campagne di Rivodutri, Rocchetta, Cocoione e Poggio Bustone.
Dopo questi eventi la vita nel castello di Rivodutri trascorre in relativa quiete, anche se i più aggressivi abitanti del castello, spinti dalla povertà e seguendo l'esempio dei terrazzani di Labro, Morro e Poggio Bustone, non solo offrono asilo a condannati al bando per la ribellione del 1375 e per delitti commessi in avvenimenti successivi, ma si danno, sovente, al brigantaggio da strada, assalendo comitive e carovane di mercanti, di mandriani, di pastori, depredandoli. Molti dei colpevoli subiscono processi ed incorrono nei rigori, più astratti che concreti, delle leggi penali reatine.
Il Comune di Rieti, infatti, sempre assillato da ristrettezze e difficoltà economiche e finanziarie, consente spessissimo di condonare le condanne e pene corporali anche capitali in cambio di transazioni che si risolvono nel consueto pagamento di ammende ridotte.
Nonostante l'ambiguità delle fonti storiche, il castello di Rivodutri, non sappiamo volente o nolente, deve aver dato un qualunque appoggio agli Alfani ribelli. Non solo, ma durante l'effimera ribellione dei castelli del Capitanato della Valle Canera, nella primavera e nell'estate del 1436 e la conseguente dedizione loro al condottiero Micheletto o Michelotto Attendolo Sforza, è probabile che gli abitanti di Rivodutri, almeno in parte, abbiano manifestato qualche simpatia per i ribelli. Questi fatti, spiegherebbero l'azione energica del Cardinale legato Giovanni Vitelleschi risoluto e durissimo uomo di guerra e di azione più che di chiesa.
Nell'autunno del 1438 i suoi fanti occupano il castello di Rivodutri, e ai magistrati comunali reatini, il Cardinale impone categoricamente di deliberare la distruzione del castello stesso e la cacciata di tutti i suoi abitanti (11-2-1439).
Assai riluttanti e di malavoglia, i cittadini che compongono il consiglio generale del Comune di Rieti e il consiglio di credenza, si piegano alla inflessibile volontà del porporato e stipendiano i muratori che sotto la sorveglianza di Battista di Giovanni da Offegia (Offida), demoliscono le fortificazioni e parecchie case di Rivodutri. Ma più tardi, quando i poteri del legato sono diminuiti, in seguito ai sospetti che in merito alla sua lealtà nutre il Papa Eugenio IV Condulmero, il consiglio generale del Comune di Rieti, in data 4-8-1440, delibera di ricostruire e restaurare fortificazioni ed abitazioni di Rivodutri e di pagare dieci ducati d'oro a quel Battista di Giovanni da Offegia che era stato soprintendente ai lavori di demolizione.
In questa occasione gli abitanti di Labro, Morro Reatino e Poggio Bustone sono chiamati a concorrere ai lavori di ricostruzione fornendo la calce che viene ricavata da una fornace da loro costruita appositamente. Nel consiglio generale del 21-7-1441 infine, viene accolta una petizione dei massari diRi vodutri con la quale si chiede lo sgravio dalle imposte per sei anni e si consente, ai suddetti massari, di poter imporre e riscuotere una «dativa», un'imposizione straordinaria, fino a cinquanta ducati, che dovrà essere destinata ad ultimare i lavori di ricostruzione delle case distrutte.
Dopo la riedi ficazione, se si eccettuano spese per il consolidamento delle fortificazioni consistenti nelle costruzione di torrioni nella parte a monte della cinta i mura, non si verificano avvenimenti di rilievo nella vita del castello.
Dal secolo XVI in poi, dopo il componimento di una lite tra abitanti di Rivodutri e Poggio Bustone, che aveva dato occasione anche a scontri armati tra uomini dei due castelli, i magistrati reatini deliberano provvedimenti varii in vantaggio della comunità di Rivodutri. Fanno eccezione i provvedimenti con cui vengono dichiarati estinti sedici «focolari» del Castello (6-6-1508) e si delibera, in conseguenza di esonerare dalle imposte altrettante famiglie, e la decisione che porta alla ricostruzione di una (30-10-1539).
L'estinzione dei «focolari» però , riveste un considerevole interesse in quanto offre la testimonianza, indiretta, dell'emigrazione di sedici nuclei familiari, probabilmente discesi a risiedere a Rieti.
Rivodutri, ovvero Rigodutri, come è spesso chiamato nei documenti della seconda metà inoltrata del Trecento, subisce un lento ma progressivo smantellamento delle sue fortificazioni .
(Le notìzie riportate sono state, in parte, tratte dallo studio effettuato a Rivodutri nel 1976 dal C.S.E.P. (Centro Sociale Educazione Popolare). A detto studio il Prof. Cesare Verani ha dato un valido contributo nella stesura della ricerca.)