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2004

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Come Eravamo

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La rubrica che segue vuole ricordare gli abitanti di Rivodutri ripresi nel corso degli anni in occasione di momenti di lavoro,di festa o di riposo.
E' una operazione estemporanea, che non ha la pretesa di essere organica.Non è una sorta di Antologia di Spoon River. E' che "un Paese vuol dire non essere soli.
..."
 

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LA PORTA ALCHEMICA DI RIVODUTRI

VALERIO LEONI, MONICA SAMPALMIERI,LUCA VANNOZZI

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estratto da Deputazione abruzzese di Storia patria

Borgo San Pietro 25/06/1995

Rivodutri è un comune della Sabina a ridosso dei Monti Reatini, a Nord di Rieti; conta, oggi, circa 1300 abitanti. Oltre al capoluogo comprende gli abitati di Apoleggia e Piedicolle e un'ampia zona di pianura inserita nella Riserva Naturale dei Laghi Lungo e Ripasottile.

Il nucleo storico del paese è documentato dal sec. XI; viene trasformato in larga parte in tempi recenti. Alla fine dell'Ottocento, infatti, la via principale (via «Dritta» ora via Umberto I) viene ampliata con lo sventramento di parecchie abitazioni fra le quali il vecchio edificio scolastico: ad esso apparteneva la Porta della quale oggi si riferisce.

È possibile che la Porta inizialmente fosse collocata all'interno dell'edificio e che in seguito al taglio della strada fosse ricollocata sulla nuova facciata dove è rimasta fino al 31 dicembre del 1948 quando il forte terremoto di quel giorno devasta l'edificio e stravolge la fisionomia storica di tutto l'abitato.

Il monumento viene salvato, smontato e conservato in un locale comunale.

Circa trent'anni dopo esso è ricomposto sul luogo originario per fare da accesso a un piccolo giardino pubblico. La tradizione popolare chiama la Porta «Porta di Nicolò» ed infatti dalla documentazione presente nell'Archivio Comunale di Rivodutri è emerso che l'edificio sede della Porta era appartenuto alla famiglia Nicolò fino al 1874: in quell'anno esso venne ceduto al Comune per realizzarvi la Scuola femminile e le abitazioni per gli impiegati. I Nicolò però divennero proprietari della casa nel 1757, grazie ad un consistente lascito testamentario di Don Bernardino della famiglia Camisciotti.

Finora non è stato possibile individuare l'alchimista o l'esperto di arti e conoscenze alchemiche, però diversi elementi potrebbero convalidare l'ipotesi che una richiesta culturale del genere provenisse dalla famiglia Camisciotti: frequenti i Camisciotti negli incarichi di rilievo nell'amministrazione dei beni pubblici e religiosi a partire dal primo Seicento; diversi Camisciotti si dedicano alla carriera e alla vita ecclesiastica; solido il patrimonio familiare. I rilievi della Porta possono aprire un discorso più ampio intorno al possesso di requisiti e conoscenze complesse di chi ha commissionato la realizzazione del monumento.

La lettura interpretativa della Porta,  allo stato attuale degli studi, rivela che la maggior parte dei simboli esprime il mistero della trasmutazione non solo e non tanto dei metalli, quanto della psiche e dei rapporti tra corpo-anima-spirito nell'uomo. Il viaggio che si compie parte dal Caos, dallo stato oscuro, confuso e di potente conflitto(1)  fino alla coniunctio, all'unto oppositorum, all'equilibrio tra ciò che prima era discorde: coscienza e inconscio, materia e spirito, oscurità e conoscenza.

Colui che ha fatto costruire la Porta aveva sicuramente abbandonato il forno, gli alambicchi e le sperimentazioni in laboratorio per arrivare all'oro: si era iniziato alla speculazione filosofica proiettando (2) non il mercurio sui metalli, ma il segreto e il dramma della vita (umana e divina, materiale e spirituale, razionale e irrazionale) sulle sue varie e trasmutanti manifestazioni.

Ciò che accade, in modo evidente, a partire dal XVII sec.(3 )quando ci si rese conto che l'Arte (cioè l'opera che trasforma i metalli vili quali il piombo, il rame e lo stagno in argento e oro) non avrebbe mai portato alla fabbricazione dell'oro, e quando da una parte il chimico continuò a mettere mano alla materia con gli esperimenti in laboratorio, dall'altra il filosofo continuò a cercare quell'oro che non era aurum vulgi. Nel XVIII sec. lo spirito illuministico contribuì a spazzare via ogni velleità mistica scavando un solco più profondo tra  mustika e  fisika.

La lettura della porta comincia dalla base destra(per chi guarda) (fig. 2).Qui appare il quaternio con la scritta: QUID HOC FORTIUS. John Dee (1527-1607) suppone che «al mistero dei quattro elementi alludano quattro linee rette che corrono in opposte direzioni a partire da un singolo punto individuale... Dal punto e dalla monade hanno preso avvio le cose e gli esseri»(4). Il punto rappresenta l'origine, l'inizio, la materia prima. Nella nostra base si ravvisano le quattro rette che si intersecano in un punto: l'immagine del Caos primordiale, in cui le cose sono allo stato iniziale e potenziale. Sul piano psichico il Caos corrisponde al male e alle tenebre, all'oscurità e alla depressione, la lotta è tra le componenti psichiche dell'uomo e nella sua interiorità, quindi in uno stato di disunione con se stessi. Chi si accinge all'Opus deve necessariamente passare in questo stadio, calandovisi per ritornare al Caos, cioè nella fase della Nigredo, che è mortificazione e separatio, dove c'è il germe di ogni possibilità.

Il quaternio torna in modo evidente altre due volte, nei due blocchi superiori della Porta:

       Ancora non siamo riusciti a dare un significato al testo scritto, mentre è evidente che il pentacolo è la classica rappresentazione dell'uomo (fig. 3). Nella quaternità esistono due coppie di opposti ed essa rappresenta la totalità. Il fine dell'Opus è quello di riconciliare e ricondurre all'unità i quattro elementi in lotta fra loro cioè giungere all'Ermafrodito.Nella porta è presente il simbolo di Mercurio,   primo agente della pietra filosofale (fig. 4). La sostanza che si deve combinare con l'oro per ottenere il Lapis. Argento vivo, metallo fluido, fuoco che brucia i corpi più del fuoco, ma anche aqua permanens (è situato infatti all'esterno tra la prima e la seconda figura), farmaco nel suo doppio significato di veleno e rimedio. Mercurio che è duplex  attivo e passivo, maschile e femminile, partecipa di entrambe le nature.

Nella figura superiore è rappresentata LA NAVICELLA CHE ATTRAVERSA IL MARE (fig. 5). Senz'alto questa figura occupa una posizionemolto importante, così come la corrispondente sullo stipite sinistro: infatti le altre sono comprese in un ottagono, queste due in una forma ovale, inoltre soltanto qui compare il mare, l'acqua; ancora, la posizione è centrale. È perciò indubbio il loro interesse dal momento che proprio qui sotto si trova il simbolo di Mercurio che, come abbiamo detto, è mediano: chimicamente infatti il mercurio è un metallo liquido (natura duttile) e per di più volatile a temperatura ambiente.

Il mare rappresenta nel suo significato classico e mitologico la condizione iniziale, la materia prima, la matrice di tutte le cose, quindi è simile al Caos; chi viaggia per mare può naufragare se non ha una guida che lo illumini. Qui ciò non accade, infatti nella vela della nave si legge: OMMA BONA MECUM; l'albero della navicella è una palma, piccola, che riesce ad impiantarsi e ad ingrandirsi (figura della PALMA NEL DESERTO). Quell'albero riesce a mettere radici. L'acqua per azione del fuoco è scomparsa, ora c'è il deserto, la terra. Sul piano psichico ciò simboleggia l'inconscio che feconda la coscienza, la compresenza e l'unione delle tenebre e della luce(5). Le due componenti della psiche devono coesistere in eguale misura, l'aridità della coscienza deve essere vivificata dalle pulsioni dell'inconscio. Probabilmente ad una di queste interpretazioni sono attribuibili le figure a sinistra dell'albero che non sono ben ricostruibili.

Cinque sono le scansioni sullo stipite, cinque anche sull'altro in una perfetta simmetria e corrispondenza, anche plastica. Si può pensare alla quinta essenza?

Si rivelano molto importanti anche i simboli presenti al di fuori degli ottagoni: nello stipite sinistro (per chi guarda) compaiono gli astri: la stella, la luna, il sole e l'eclissi, cioè l'unione di Sole e Luna. Essi segnano i vari momenti dell'Opus e i gradi di trasformazione: in basso la luna e la stella, le fonti chiarificatrici delle tenebre. Anche le tenebre hanno una loro luminosità: sembrerebbe un paradosso, ma è ancora la presenza degli opposti, di quegli opposti che pian piano si avviano verso l'unificazione. L'alchimista invoca gli astri per avere un aiuto attraverso il loro influsso, ritenendo che essi potessero esercitare una certa azione sui metalli e anche perché sente di aver bisogno di molteplici fattori per la realizzazione della Grande Opera; non per niente ìì primo metano aò essere scoperto e. utilizzato dall'uomo è stato il piombo, che veniva associato al pianeta Saturno, tanto che anche oggi l'intossicazione da piombo si chiama Saturnismo. Molteplici fattori, abbiamo detto, che la psiche «non costituisce unità, ma è una costellazione in cui, accanto al sole, si danno anche altre fonti di luce»(6): più lontane, più vicine, più o meno luminose. Tra queste c'è anche Luna, che è un'entità inferiore (come l'argento lo è rispetto all'oro) perché non brilla di luce propria e perché è più vicina alla terra, risentendo dell'influsso di questa. Anche nell'antichità la luna segnava il confine tra le cose divine e quelle caduche, come quello tra l'etere e l'aria(7). Queste concezioni erano note agli alchimisti per i quali Luna con la sua natura fredda e umida è dispensatrice della rugiada che aiuta il corpo a ritrovare l'anima(8). Perciò Luna è l'annunciatrice dell'Albedo, il gra-dus della primavera alchemica rappresentata nel nostro caso da un ALBERO coi FRUTTI: è la fase in cui l'anima non sente più il richiamo della carne e comincia a salire, tanto che chi si trova in questa condizione non può essere osservato cogli occhi fisici(9). L'Albedo segna il primo superamento della notte, della putredine o separatio o so-lutio. Il chiarore della luna e della stella illumina le tenebre della lotta tra gli opposti che da qui cominciano a riconciliarsi. Sul piano psichico la comparsa di queste due sorgenti di luce che sono inferiori rispetto a Sol e poste infatti al di fuori dell'ottagono, indica che anche l'inconscio, pur nella sua forza bestiale, è dotato di luce propria: la coscienza (Sol-principio maschile) non può e non deve arginarlo, non può sottometterlo e indagarlo totalmente, pena lo squilibrio e la malattia. Le pulsioni che vengono dall'inconscio devono essere in equilibrio con i contenuti della coscienza.

Andando verso l'alto si vede che l'Opus giunge man mano al compimento. Il conflitto degli opposti si seda nell'unione, perché uno stato di ostilità non può durare a lungo, è contrario all'armonia della vita, e conduce alla morte. Ecco quindi il sole, personificato, che splende in tutta la sua potenza . Rappresenta l'oro, non aurum vulgi, ma l'oro dei filosofi, la perfezione, la conoscenza dell'oro immortale: è lo spirito. Solve et coagula; qui è il momento del coagula, del raggiungimento di una realtà che appare alla fine, quando lo spirito (Sol) trionfa non sul corpo o sull'anima ma con essi. L'eclissi lo testimonia (Sol-Luna), come è scolpita in alto a destra al di fuori dell'ottagono. Il sole (principio maschile-coscienza) può splendere in tutta la sua luce e calore perché in qualche modo convive con la sua controparte femminile (Luna-inconscio).

Nella raffigurazione si legge anche EX TUA MEA LUX EX MEA TUA. In altre parole siamo giunti alla conversione del corpo in spirito e dello spirito in corpo.

Nella parte superiore dell'arco si legge TOT MIHI SUNT VIRES e in posizione apicale abbiamo la figura dell'Ermafrodito, il Rebis, cioè due cose in una. REX e REGINA uniti da un'unica corona, l'unità che risulta dalla coniunctio degli opposti, dal maschile e dal femminile, o coscienza-inconscio, o spirito-materia. Il maschile è lo spirito ed esiste in quanto esiste anche la controparte femminile e ctonia. Uniti costituiscono l'universalità e la perfezione .

L'Ermafrodito poggia su un blocco in cui è scolpito un cuore; questo è racchiuso in un cerchio e ciò che sta dentro al cerchio indica la cosa da cui si deve partire e ciò a cui si deve arrivare, l'inizio e la fine. Al centro di questa operazione circolare c'è il cuore, che è quanto di più interiore possa esserci nell'uomo .

Molte delle figure scolpite sulla Porta sono comuni alla simbologia cristiana: Ermafrodito-Cristo; Sol-Cristo (Sol iustitiae); Luna-Chiesa; Sol-Luna: vir a foemina circumdatus cioè Cristo e la Chiesa. Molti alchimisti erano cristiani o almeno rispettosi dell'ambiente religioso in cui si trovavano a vivere, e alcuni del resto ritenevano indispensabile alla riuscita dell'Opus l'aiuto di Dio; mentre i meno convinti adombravano il loro pensiero con immagini cristiane soltanto per sfuggire a non improbabili interventi inquisitori.

1 QUID HOC FORTIUS (base dx per chi guarda).

2 C.G. JUNG, Psicologia e Alchimia, Torino, Boringhieri, 1981, p. 303 e nota 20.

3 Anche se le «considerazioni mistiche sono comparse nell'alchimia...verso il XII sec.», L. FIGUIER, L'Alchimia e gli Alchimisti, Napoli, Regina, 1972, p. 29 e seg.

4 C.G. JUNG, Mysterium coniunctionls, ricerche sulla separazione e composizione degli opposti psichici nell'alchimia, Torino, Boringhieri 1991, 14, p. 48.

5 C.G. JUNG, Mysterium, cit., pp. 155-156

6 C.G. JUNG, Mysterium, cit., p. 389.

7 MACROBIO, In somnium Scipionis 1,21.

8 C.G. JUNG, Mysterium, cit., p. 128.

9 D.V. GAGGIA, Le none alchemiche e la psicoanalisi dell'eros, Atti e Memorie

 

"IL SANTUARIO FRANCESCANO DI RIVODUTRI"

di Vincenzo Micheli     1926

Nella celebrazione centenaria del grande poverello d'Assisi, tutto il mondo civile, in santa emulazione col mondo Cristiano e Francescano, vuol intessere una nuova fulgida corona di gloria alla memoria di Lui che fu tutto serafico in ardore.

Per cui anch'io attratto non solo dall'amore personale verso sì gran Santo, ma eziandio dal coro delle lodi che da un capo all' altro del mondo s'eleva dolcemente soave da mille petti e scende benefico in tutte le anime aperte ai sensi della più  squisita gentilezza e della più sublime grandezza, sento il dovere di affidare alla stampa una memoria francescana, che sebbene non del tutto rispondente alla verità unicamente tradizionale,è però assai attendibile e che certo potrà, per lo meno, interessare gli amanti le ricerche gli studi francescani.

Questa attendibile e interessante memoria francescana avrebbe avuta la sua origine dai giorni vissuti e dai prodigi compiuti da S. Francesco presso Rivodutri che si eleva a nord ovest della valle santa reatina.

Infatti uscendo da Rieti per la porta Cintia, seguendo la via provinciale che conduce a Terni, dopo traversata per 14 chilometri la valle ubertosa ,ricca di fiumi e di laghi, lasciando alle spalle il santuario di Fontecolombo, a destra quelli della Foresta e di S. Giacomo in Poggio Bustone, a sinistra quello famoso di Greccio, abbandonando la strada provinciale e seguendo per breve tratto altra via carrozzabile, alle falde del colle di S. Marco si presenta allo sguardo un profondo bacino di acqua sorgiva limpida come il più terso cristallo, sgorgante su di una superficie di pochi metri quadrati circondati da un muro dal quale erompe maestosamente scintillante di spuma bianca il fiume " Santa Susanna ".

Miè piaciuto trattenere il lettore a rimirare alquanto questa magnifica oasi da cui scaturisce un' immensità di freschissima linfa che si spande sulla verde pianura coronando di fluido diamante lo smeraldo dei campi, perchè la visione di essa procura un non trascurabile godimento allo spirito.

Corri, corri pure onda perenne e salutare ad aprire al bacio della vita gli aridi semi nascosti nella valle! Io ti lascio commosso e proseguo la meta del mio cammino!

Ancor cinque minuti di strada da dove si gode lo sfondo della valle reatina, ed eccoci tosto sulla via che, costeggiante un torrente, s'inoltra tra una gola dei monti i quali ci tolgono il panorama veramente incantevole della pianura reatina. Continuando il cammino si sale dolcemente per circa un chilometro tra il profumo dei fiori silvestri e le maestose chiome di verdi pioppi posti in doppia fila lungo il torrente, finchè una croce formata con due consunti assi di legno, piantata, sul margine destro della via, ci assicura che siamo nelle vicinanze di qualche paesello.

Infatti su di un poggio a circa sessanta metri d'altezza dal livello della croce si vede un ammasso di casupole grigie dominate da una torre campanaria. E' il campanile della Chiesa parrocchiale di Rivodutri.

Dopo cinque minuti siamo in paese.

Una buona via carrozzabile permette di andare con comodi veicoli sino alla Piazza della Fontana ove a nord-ovest della piazza, stessa sotto le grandi arcate di un discreto fabbricato, un rumore gradito e perenne ci assicura che l'acqua vi ,è continua ed abbondante.

, Questo paesello nascosto fra le gole dell'Appennino Umbro Sabino ha nome: Rivodutri, forse perchè i suoi fondatori circa tre o quattro secoli or sono, venuti da Butri sito nelle vicinanze di Cautalice si stabilirono in un promontorio fiancheggiato a levante dal rivo della Valle e a ponente dal rivo " Carbone ".

A Rivodutri vi è una bella Chiesa parrocchiale dedicata a S. Michele Arcangelo, in stile barocco graziosamente decorata e custodita con ammirevole pulizia e direi quasi con sfarzosità di arredi sugli altari, tanto che a prima vista desta un senso di santa letizia e di straordinaria ammirazione. Di ciò va data sincera lode all'attuale Parroco Teologo D. Filippo Maria Faccio, uomo di profonda coltura religiosa, di non comune intelligenza e di singolare zelo nell'esercizio del suo ministero.

Proprio in cima al paesello un'altra bianca chiesuola dedicata alla Madonna della Valle si eleva quasi vedetta a protezione dei Rivodutrani. A levante di questa chiesuola parte una via mulattiera che inerpicandosi e serpeggiando sui monti raggiunge dopo vari chilometri la via provinciale Terni - Leonessa. Su questa via a tre quarti d'ora da Rivodutri s'incontra il villaggio del Cepparo a più di 800 metri sul livello del mare da dove l'occhio gode uno spettacolo veramente meraviglioso e dove, in un bel mattino di sole, si assiste ad una di quelle scene meravigliose che invano le più celebri penne e i più artistici pennelli tentano di rappresentare all'immaginazione con la suggestione delle loro frasi e dei loro colori. Infatti col� la luce irradiante del cielo inondando profusamente la nostra sfera, mostra all’'occhio attonito dei mortali una superba indescrivibile bellezza di luci e di colori insieme al magico spettacolo della natura in fiore, che canta al Creatore l'inno eterno della sua poesia!

La corona dei monti che limita quasi a circolo perfetto la " Valle santa " tutta lussureggiante di viti, di olivi, di prati e di boschi, con le sue case, di Greccio, Contigliano. Poggio Perugino, Fontecolombo, Rieti, Cantalice, Poggio Bustone, Rivodutri, indorate dal sole nascente quasi pietre preziose iridescenti tra i| verde, sembra il diadema regale con cui Dio ha voluto coronare la Valle regina ove il Serafico d'Assisi passò buona parte della sua vita nelle estasi profonde e nella contemplazione dei misteri del Cielo.

Il fiume  Santa Susanna   che poc'anzi incontrammo si vede ora come scaturire quasi sotto i nostri piedi, serpeggiare tortuoso argenteo in direzione di Greccio, gettarsi sul lago di Ripasottile, uscirne infine per incontrarsi coll'azzurro Velino che da Rieti traversando la pianura corre a formare quel grandioso spettacolo,naturale conosciuto col nome di " Cascata delle Marmore " mentre più a sinistra e precisamente in direzione di Rieti un altro vasto specchio azzurro fa pompa di se stesso rivestendosi della luce del ciclo, chiuso a mezzogiorno da una ricca corona di verdi pioppi; è il lago Lungo  più comunemente detto di : " Cantalice ".

Lo .sguardo sempre avido stenta a ritrarsi da quel godimento e, pur proseguendo verso la montagna, di quando in quando si volge indietro a rimirare s� meraviglioso spettacolo ; tanta � la forza suggestiva del panorama reatino.

Poco distante dal Cepparo verso nord-est, alcuni ruderi rivestiti di edera rammentano il luogo ove il castello di " Rocchetta " diede asilo ad una colonia le cui origini si perdono nell'oscurit� della storia, come quelle di un'altra colonia stabilitasi sull'estrema vetta dello stesso monte le cui mura superstiti sono ricordate dai Rivodutrani col nome di " Cocoione ".

Da questa cima declinando lievemente a nord dopo pochi minuti si raggiunge una valletta piana ove vicino alla strada sorge una casetta quasi diroccata, ma un tempo ricovero e asilo di pastori, conosciuta col nome di " Casetta dei Cerchiari ".

Nella strada praticata sul vivo calcare, proprio innanzi a quella casetta, in una sopraelevazione pietrosa di circa venticinque centimetri si vede una specie di orma di piede umano incisa nel calcare stesso e ricoperta di una pietra rossiccia simile alla pietra focaia, tanto che pur essendo evidentemente naturale, sembra incastonata artificialmente come una gemma sul metallo.

In quell'orma i buoni Rivodutrani vogliono vedere, giusta la tradizione, un'orma di S. Francesco e narrano come un giorno il Santo non avendo danaro per pagare il fabbro che aveva ferrato il suo giumento non si sa bene se a Rocchetta o a Cocoione, per tutta mercede non diede che ringraziamenti e benedizioni.

Il fabbro, d'ideali più positivi, attese che il Santo uscisse dal paese e lo raggiunse nell'anzidetta località imponendogli il pagamento o la restituzione dei ferri. S. Francesco discese dal giumento e col primo piede che mise a terra impresse prodigiosamente sul calcare l'orma che abbiamo descritta, quindi ordinò al giumento di restituire i ferri al fabbro, e quello tosto obbedì.

Il visitatore che da questo luogo volge la faccia ad occidente, spingendo lo sguardo verso la gola profonda di due monti che aprono la vista alle vallate del Nera e del Tevere, ha la sorpresa di ammirare giù per l'erta, a circa cinquanta metri, un grandioso albero di faggio, la cui cima ramificante ha ventun metro di circonferenza, il tronco ha sette metri di diametro e sei metri d'altezza. Essoïè di forma ovale somigliante ad un colossale limone tagliato longitudinalmente in due e posato in terra per la parte piana.

Contrariamente a tutti gli alberi della stessa specie i quali hanno i virgulti tendenti in alto, i rami di questo faggio tendono a terra come quelli del " salice piangente " dando a tutto l'insieme l'aspetto di una capanna, donde il nome derivato al faggio di " Capanno di S. Francesco ".

La ragione di tale denominazione è motivata dalla narrazione che più sopra abbiamo interrotta e che ora riprendiamo.

Si vuole che nello stesso giorno e nello stesso luogo in cui avvenne l'episodio del fabbro sopravvenne la notte, ed il Santo non volendo proseguire il suo cammino, allontanatesi alquanto dalla strada in cerca di asilo, elesse a ricovero quel faggio. Da quella notte memoranda i rami del faggio conservarono sempre la loro posizione inclinata verso la terra e alla quale erano stati costretti dalla pressione del mantello del Santo da questi disteso sulle chiome dell' albero come a riparo dalle intemperie di quella notte.

Quel luogo scosceso ed inadatto non fa certo pensare ad una notte di riposo ma bensì ad una notte passata dal Santo in devota vigilia ed è facile immaginare quale fervore di orazione, quali sospiri d'amore, quali accenti di fede sovrumana abbiano risuonato sotto quel tempio improvvisato, avendo voluto Dio stesso tramandare ai posteri la memoria tangibile di quella notte beata!

Salve, o sublime ascensione dell'umanità nei cicli dello spirito!

Io mi prostro innanzi a tanta grandezza ed ammiro umiliato e commosso l'apoteosi dell'anima nata nella colpa originale, cresciuta nella dovizia mondana, attratta da gloria cavalleresca e al primo raggio di grazia gettatasi spontaneamente nel crogiuolo dei rimorsi e delle penitenze. Ammiro e contemplo quell'anima fortunata trasformarsi in una fiamma purissima di celestiale amore, ascendere gagliardamente tutte le vie delle virtù per brillare infine nell'azzurro dei cieli: astro fulgente incastonato nel diadema di Dio!

Io penso che i ramoscelli di quel faggio si piegarono in perpetuo abbandono quando in mezzo allo stormir delle fronde salivano vibranti di amore gli accenti infuocati del grande penitente; mentre oggi ancora, nella mistica atmosfera che circonda quel prodigioso albero, l'anima cristiana ode il sussurro dolcissimo dei divini colloqui, sente ancora il palpito di quel cuore che nella completa dedizione di se stesso, nell'ardore della più casta ebbrezza abbandona il suo mortale ritmo nell'istante supremo in cui si ricongiunge eternamente a Dio.

E pensare che dinanzi a tanta poesia dello spirito vi è chi atteggia il labbro ad un sarcastico sorriso, come se i voli dell'anima non fossero che chimere; frutto di esaltata immaginazione, espressione sintomatica di deficiente costituzione psico-cerebrale.

Così vi sarà chi passando innanzi a quel faggio non vedrà che botanica e non sentirà che indifferenza; ma io, educato alla scuola d'un gran Maestro, fo tesoro del suo bel monito ;

Non ti curar di lor, ma guarda e passa .

e vedo in quelle espressioni, sia pur materiali, l'ombra opportuna e provvidenziale che concorre a rendere più viva e più splendente la luce che brilla sulla fronte rivolta al cielo. Vedo tenebre notturne che rendono più intenso il desiderio dell'astro diurno e più luminoso e gradito il suo raggio.

Vedo l'asfissia carbonica dell'oscurantismo che rende più ricercato e prezioso l'ossigeno della vera scienza che conduce alla vita. Vedo il veleno mortifero del settarismo politico distillato nel buio delle notti oscene, che fa scaturire più le fonti di acqua viva, per dissetare il popolo eletto durante la sua marcia verso l'infinito in faccia ai più tersi splendori di quella fede che ti da quei grandi che gettano le basi della scienza come un Galileo, un Newton ......; le basi della letteratura come un Dante, un Manzoni .....: che salvano il mondo come un Francesco, un Benedetto, un Domenico .....; che aprono all'uomo gli orizzonti più vasti del sapere come un Tommaso, un Bonaventura, un Girolamo, un Basilio, un Agostino, un Ambrogio; che portano fra i selvaggi la luce dell' immortalità come un Saverio, un Massaia, un Bosco; che non tingono di sangue le varie Senne del mondo, ma spandono sui popoli l'alito della pace e dell'amore; che non vendono la patria con l'onta del tradimento, del sabotaggio e della diserzione; ma volano primi sul campo dell'onore a cadere da eroi in nome di Dio e della patria !

Ritornando alla memoria francescana del faggio secolare sarà bene affermare che queste pagine sono scritte per i fedeli, i quali per apprezzarle non andranno certamente a cercare i testimoni de visu comprovanti il passaggio del Santo per i nostri sentieri o il notaio che abbia steso l'atto di presenza.

Son certo che ad essi, come a noi, basta la tradizione; basta il racconto semplice e genuino dei nostri vecchi che hanno custodita la narrazione con scrupolosa integrità di dettagli sempre concordi, concordi in qualunque tempo, in qualunque luogo e su qualunque labbro.

Essi ebbero in tanta venerazione quell'albero che si sono sempre guardati dal recargli il benchè minimo danno, e citano molteplici episodi d'infelici contadini che, sprezzanti ogni idealità, per aver tentato di incidere qualche ramo di quel faggio, tutti indistintamente rimasero gravemente feriti dalla propria arma e ciò anche in epoca contemporanea.

Tale autopunizione ha costituito l'autodifesa del faggio, che con le sue grandi proporzioni ci mostra chiaramente che realmente fu sempre rispettato, malgrado il vandalismo dei legnaiuoli che sul terreno circostante ha gà fatto da tanti anni tabula rasa di ogni altro albero.

I nostri villici passando di lì costumavano e continuavano a scoprirsi ancora il capo in atto di saluto e mormorare una preghiera tanto dinanzi al  faggio  come dinanzi alla  Pedata di S. Francesco .Di tanto in tanto tale località è meta di devoti pellegrinaggi e pochi anni or sono anche il non mai abbastanza compianto Mons. Francesco Sidoli Vescovo di Rieti volle accompagnarci in una visita restandone così bene impressionato che propose l'erezione sul luogo di una cappella in onore del Santo, offrendo egli stesso a tale scopo una cospicua somma.

Gli avvenimenti narrati in ordine al  faggio e alla Pedata  non possono certo essere documentati al pari degli altri santuari ove il Poverello d'Assisi dovette per più ragioni costruire dei monasteri, come avvenne a Greccio per le pressioni del pio Velita ponendovi così i custodi vigili delle sue orme e i testimoni viventi delle sue gesta; ma ciò non esclude che vi siano altri luoghi in cui Egli abbia lasciato sè, sebbene che in detti luoghi la memoria della sua vita vissutavi sia rimasta negletta per incuria degli uomini, come al dire dell' Evangelista, avvenne di molti prodigi operati da Gesù Cristo nei luoghi santificati dalla sua presenza.

Io sono di opinione che la ragione dell'abbandono in cui è stato lasciato il Santuario francescano di Rivodutri sia da ricercarsi principalmente nella distanza di esso dall'attuale centro abitato e dal sentiero faticoso che ad esso conduce.

Al principio del XIII secolo, quando Francesco spandeva per le nostre contrade l'odore della propria santità i villaggi di Rocchetta e Cocoione erano in pieno fervore di vita e si trovavano a pochi passi dal Santuario; quindi i loro abitanti ebbero agio di profondere intorno al sacro albero tutte le loro attenzioni ed evidentemente proprio a quelle attenzioni dobbiamo il merito di averlo integralmente conservato e consegnato ai nuovi abitatori di Rivodutri insieme alla suesposta tradizione.

I Rivodutrani, come lo attestano le inviolate condizioni fisiche del  faggio  posero anche loro intorno ad esso le cure della loro pietà e della loro devozione; ma con l'andare del tempo, data la relativa distanza e la difficoltà del sentiero, cessarono a poco a poco la pratica delle loro processioni sul luogo, ed il Santuario cadde facilmente nell'attuale stato di abbandono, malgrado la tenacia del popolo Rivodutrano alla tradizione dei suoi avi.

In ogni modo, oltre che le grandi proporzioni dell' albero  attesta la sua vita parecchie volte secolare, il fatto straordinario, e forse unico al mondo, di tutti i suoi rami pendenti verso terra in una strana posa di abbandono e pendenti sì da formare intorno a sè delle vere pareti di una capanna artificiale.

Mentre i faggi in genere tendono tutti ad innalzarsi in forma snella ed alta imitando i castagni il nostro Faggio ha una forma goffa e schiacciata come un gran monte di fieno.

Oltre a ciò si ha l'impressione che un ampio mantello invisibile sia lì a costringere i verdi ramoscelli a formare una specie di tettoia semisferoidale compatta e ben ordinata,tanto che non è possibile ritenerla un fatto naturale senza il concorso del prodigio, a provare il quale, se mancano ineccepibili documenti di archivio, abbiamo, come ripeto, la tradizione ininterrotta, fedele, scrupolosa e concorde dei nostri antenati.

Dopo aver fatto del mio meglio per gettare diligentemente il granello di senape  fo voti ardentissimi che tutti i buoni, specie gli studiosi, coltivino questo piccolo seme e lo rendano talmente fecondo  da formare di esso un altro albero gigantesco i cui frutti servano ad alimentare sempre più la pietà dei fedeli e ad aumentare la grandezza di colui di cui la gloria più che in terra meglio in ciclo si canterebbe.

 LE SORGENTI DI SANTA SUSANNA

Le Sorgenti di Santa Susanna si trovano nel settore nord orientale della Piana Reatina, alla base dei Monti Reatini, in comune di Rivodutri. Le risorgive ,tra le più grandi d'Europa, costituiscono una delle emergenze naturali della Riserva dei Laghi Lungo e Ripasottile .

Con una portata di 5000 litri al secondo generano due corsi d'acqua: il fiume di Santa Susanna ed il Canale omonimo: il primo riversa le proprie acque nel Lago di Ripasottile, il secondo � triburtario del fiume Velino.

Nelle gelide acque della sorgente principale è possibile osservare ,grazie alla estrema trasparenza delle stesse, lo Spinarello (Gastreolus aculeatus), un piccolo pesce dal peculiare comportamento riproduttivo: il maschio costruisce sul fondo un nido con filamenti vegetali ed invita diverse femmine a deporvi le uova. Avvenuta la deposizione allontana le compagne e si prodiga da solo nella cura della prole.

Nei due corsi d'acqua sono preseti la Trota di Torrente (Salmo trutta) originaria delle nostre acque e la Trota Iridea (Oncorhynchus mykiss), introdotta a scopo alieutico.

Tra gli uccelli è facile osservare il Tuffetto ( Tachybaptus ruficollis) e la Gallinella d'acqua (Gallinula choropus), stanziali e l'Airone Cinerino (Ardea cinera), di passo.

Da notizie storiche,risalenti al 1398, sappiamo che in questa località esisteva una chiesina dedicata a Santa Susanna, la giovinetta martire sotto Diocleziano.Oggi la chiesina non esiste più; tuttavia è ancora vivo il culto per la Santa, che ogni anno, la terza domenica di agosto viene festeggiata con una processione presso le Sorgenti

 


  

 

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