rivodutri.org
2004

La Storia

Le Tradizioni

Da vedere

 
Come Eravamo

"

La rubrica che segue vuole ricordare gli abitanti di Rivodutri ripresi nel corso degli anni in occasione di momenti di lavoro,di festa o di riposo.
E' una operazione estemporanea, che non ha la pretesa di essere organica.Non è una sorta di Antologia di Spoon River. E' che "un Paese vuol dire non essere soli.
..."
 

Galleria fotografica

Personaggi

 

 

 

La femmena de mò     ( Altavilla Stella Vannozzi)

Agguastaru stu tiempo quantu mattu!

Monte Rosato s' copiertu tuttu,

lo sale s' ammollatu l lu piattu,

m'ole stu raccio come fosse ruttu.

Adda sintì tra puocu che scruglione!

Ascitte ecco , non te ne rejne;

magna du gnocchi , nun fa ru minchione!

N'ajo fatti de più, justu pe tine.

None, commare mia, non haio fame,

nemmeno l'acqua pozzo gnuttine;

da tiempu 'qua me perdo lu celame:

me sa che vaio a fà qua brutta fine.

Oh comparucciu meo, que t' succiessu?

Pe teo dev'esse un guaiu mutu ruossu!

Se qua demoniu te s' missu appriessu,

t'aiutu io a cacciarru, pe Diossu!

De la nepote tia so' 'nnamorato;

ma essa non me ole pe maritu;

ghiersera me mannò a mor' ammazzatu;

tutta la notte non c'iaoio dormitu.

Ma che bò mai pretenne ,sci futtita?

manco c'iaesse chi lo sa che dota!

se seguita a passa, non se marita.

Me sa che lu cirviegliu glie  se ota.

E' certu che l'amore non lo fane,

atturnu non glie ronza atru moscone;

forsce le carze se ce o' fa tirane,

prech s' accorta che jia 'mpu frescone.

Ascitte e magna : mo non ce pensane;

su, comparuccio me, da retta a mine:

la femmena de mo se ho fa pregane,

ma finisce pe di sempre de scine.

 

da "Ritagli" di Rolando Stella  Ed. Thyrus Tr 1960

lla   Ed .r 1960)

Rivodutri è un paese che sembra far corpo con uno sperone roccioso, come Orvieto, come tanti altri centri della nostra Italia; ma    mentre lo sperone su cui sorge Orvieto si stacca sulla pianura, e quindi rende la città visibile anche da lontano,- lo scoglio di Rivodutri, alto su due fossi, è circondato da tutta una chiostra di monti, che lo nasconde al piano.

Al paese porta una stradicciola, che si distacca dalla provinciale Terni-Rieti.

Poco oltre il bivio, la stradicciola si affianca alle acque chiare e impetuose del fiume S. Susanna.

La sorgente di questo fiume nel piano, raccolta come in una conca dai riflessi smeraldini, che può ricordare le sorgenti del Clitunno; ma ,mentre questa polla è ombreggiata dai salici delicati, quella del S. Susanna è circondata da una desolata pietraia.

Poco appresso, con un balzo improvviso, s'innalzano i monti che nascondono Rivodutri; infatti, la stradicciola che vi porta, s'insinua serpeggiando tra opposte pendici.

Man mano che si sale, si sente pi nettamente l'aria vivida della montagna. Il venticello che scende nella gola porta con se - d'estate - l'odore del fieno scaldato dal sole e il profumo delle ginestre, che rivestono i poggi coi loro cespi di color verde cupo, ingemmati di fiori d'un giallo intenso.

Altri poggioli sono ricoperti d'oliveti, argentei sulla terra bruna, punteggiata di bianco pietrisco.

Qua e l, in qualche ripiano di rocce, formato di terra pi ricca, sorridono gli alberi d'un piccolo frutteto : fichi, peschi, susini, che mostrano i loro frutti madidi di rugiada anche nelle mattine d'estate, poich il fosso che rumoreggia sul fondo porta con s la frescura dei monti da cui discende, e il sole riesce ad entrare solo a mattino inoltrato in quegli angoli nascosti.

I grilli stridono insistenti, tra gli scogli, ove solo le capre e le vipere transitano sicure.

Ad una svolta della strada, d'improvviso, appare il paese, alto sul suo sperone roccioso

.Poco dopo la mezzanotte del 1 gennaio 1949, chi aveva il sonno leggero, a Rivodutri, fu svegliato da un boato sordo, proveniente dalle viscere della terra.. Pochi istanti dopo, un sussulto frenetico scuoteva il terreno roccioso e le case che vi erano piantate. In ognuna di queste case piovvero i calcinacci, si spezzarono i vetri, i mobili e i travi scricchiolarono paurosamente. In quelle più vecchie, i soffitti crollarono, i muri si squarciarono, lasciando trapelare la luce dalle strade, per un attimo, prima che i fili della corrente si spezzassero.

Poi, nel buio, si levarono urla di terrore; la gente, seminuda o coperta alla meglio, uscì sulle strade e sulla piazza. Si incrociarono, incomposti, richiami di parenti, invocazioni a Dio e ai Santi.

Qualche scossa si ripetè, quella notte e nei giorni seguenti.

Nessuno osò' rientrare stabilmente nelle case.

Già il primo giorno, alle luci dell'alba, si vide la gravita dei danni. Non solo le vecchie case, ma anche i migliori edifici - tra cui la Chiesa, la scuola, il Municipio - mostravano, nelle larghe crepe, in crolli parziali, quanto la collera della natura fosse stata violenta. E poichè i vecchi ricordavano la frequenza periodica delle scosse, e anche i giovani ne avevano avuto già qualche esperienza - tornò a circolare un progetto già altre volte ventilato: non era il caso di abbandonare quello scoglio infido, dove le case erano piantate come i merli in cima alla torre, e che, una volta o l'altra, le avrebbe scrollate tutte, quelle case, giù in fondo al fosso?

Ecco, un poco più in basso, la valle si apriva verso la pianura fertile, che risentiva tanto meno del furore sordo della terra montuosa. Un lembo della pianura si vedeva gài dal muraglione del Coffiero (come dalla coffa d'una nave) al limite del paese, laddove adesso s'era aperto un largo crepaccio, che sembrava voler approfondirsi, sino a spingere nel vuoto le case della fronte.

Prima che tutte cadessero, trascinando nella rovina gli abitanti, non era meglio deciderne l'abbandono, per fondare un nuovo paese in luogo più sicuro? Non avevano fatto così gli avi sconosciuti, abbandonando la Rocchetta , per insediarsi più a valle, appunto a Rivodutri? ...

Bisognava decidersi, spiccare alfine il volo verso la pianura aperta.

Quello che ciascuno, da giovane, aveva sognato di fare, non per timore del pericolo, ma per il desiderio d'una vita nuova, ora bisognava decidere, per la sicurezza della collettività.

Io avevo sentito parlare di quei sogni.

Anni indietro, tanti anni indietro, quando al posto degli autobus v'erano le diligenze, anche Rivodutri era collegato col piano e con la città per mezzo di una diligenza; essa, con le sue tende agganciate alla intelaiatura di ferro, sembrava un belvedere .

Al mattino presto, il padrone attaccava il cavallo, mentre un garzone, andando a ritirare il sacco della posta, chiamava per nome, ad uno ad uno, coloro che, la sera prima, avevano avvertito di dover partire.

Non poca gente affluiva al Coffiero, intorno alla corriera in partenza, per salutare, per dare l'incarico d'un acquisto in città, ma anche per accompagnare con lo sguardo la diligenza che scendeva verso il piano, verso la città, verso il mondo .

Una maestrina improvvisò, modulate sull'aria di S. Lucia, le strofe che tutti impararono.

Parte lu sciaraballe

de Peppe de Viulinu;

versu Riete se mette 'n camminu.

Parte traballettanno...

ll da lu muraglione

quattro o cinque persone

istu spettaculu se stau a godè ...

Riutri meu, luntanu a te... quanta

malincunia...

Anche la sera, più persone, cessato il lavoro, si affacciavano al Coffiero , in attesa della diligenza che risaliva faticosamente per la strada tortuosa. Con essa, si aspettava qualcosa di più che il ritorno dei parenti, o le cose ordinate: qualche immagine, qualche segno della città, del mondo più vasto.

Nelle sere piovigginose, dopo che i cavalli erano stati staccati e avviati alla stalla, e la diligenza era stata messa da un lato, fuori, con le stanghe appoggiate a terra, i giovani delle famiglie migliori - del medico, del sindaco, del segretario - si infilavano dentro di soppiatto, e parlavano della città e del mondo; facevano progetti e fantasticavano, con un'unica mira: staccarsi da quegli scogli, così grigi nella bruma autunnale, e raggiungere, nel piano aperto, la città popolata; oppure, altre città, altri Paesi.

Ad uno ad uno, quei giovani partirono. Qualcuno si fermò nella città vicina, qualcuno arrivò nella capitale, qualcuno emigrò.

Ma ciascuno, ogni volta che potè, torn al paese naito, a godere della sua pace, a rinvigorire il corpo e lo spirito alla fresca brezza delle sue montagne.

Qualcuno, anche ora, alle prime notizie del terremoto - notizie che ne avevano anche ingrandito il disastro - accorse.

La prima cosa che vide, giungendo al Coffiero , fu il crepaccio nella strada, là dove la diligenza sostava.

Quel crepaccio sembrava voler fare un taglio netto tra il paese e il resto del mondo.

Sulla piazza erano le macerie dei muri crollati. E la piazza era deserta, pochi paesani erano attendati fuori del paese.

Nell'ora vespertina e fredda, il vento sollevava la polvere bianca dei calcinacci. Solo qualche passero svolazzava tra i tetti rovinati e le macerie dinanzi alla Chiesa.

Là, sul sagrato - così lindo nei tempi felici - i bimbi si raccoglievano a fare girotondo ; o due giovinette si prendevano le mani, l'una di fronte all'altra, e alternavano un giocoso, ritmico passo, cantando :

Nin... Nin... Ninetta alla finestra

l' tu'... l' tu'... l' tutta incipriata

Le vestine ondeggiavano al moto della danza;e qualche volta sventagliavano, agli sbuffi improvvisi della brezza vespertina.

Intanto, gruppi di capre rientrate dai pascoli scivolavano gi nei vicoli scoscesi, per rientrare agli ovili.

Queste, le memorie che tornavano alla mente di chi era accorso a v)edere il suo paese colpito.

Ed ora, sentiva ventilar la proposta di abbandonare il paese - che sembrava maledetto; sentiva che una parte degli uomini era pronta a lasciar cadere le case ferite, a gettare le basi del nuovo abitato nel piano, certo pi sicuro.

Quegli uomini ormai anziani, che erano vissuti per tanti anni lontano dalla terra nata, si sentirono un groppo alla gola.

E qualche giorno dopo, quando la popolazione si raccolse sulla piazza devastata, per decidere, anche essi parlarono.

In verità, non ebbero bisogno di molte parole, per convincere i compaesani a restare, ad intraprendere subito l'opera di sgombero delle macerie, di riparazione dei muri squarciati : bisognava far presto, per preparare le vecchie case al ritorno della madia del pane, delle zappe e dei badili, dei letti e delle culle!

 

CON LA BEFANA ARRIVA L'ANNO MILLE (da "OGGI" gennaio 1949)

La terribile profezia sismica dell'inglese Wheeler sembrò aver avuto il diavolo per alleato

 

Cronaca di Giorgio Venturi

II 16 ottobre dell'anno scorso un certo don. Wheeler del Middlesex, detto al suo paese il mago dei terremoti, aveva predetto che il giorno dell'Epifania l'Italia centrale sarebbe stata scossa da un terremoto terribile.

Wheeler non è uno scienziato molto conosciuto, si può anzi definire un meteorologo dilettante, e gli studiosi di tutto il mondo (e in Italia, particolarmente, il venerando e dottissimo padre Alfani, vera autorità in fatto di fenomeni sismici) si affrettarono a smentire le sue affermazioni.

Infatti, le previsioni delle scosse telluriche sono impossibili, almeno quanto lo è il determinare con precisione la morte di un individuo.

Non appartengono alla scienza, ma alla cabala.

Tuttavia, non ci sarebbe stato bisogno di tante smentite se il dott. Wheeler non avesse avuto nei giorni che precedettero l'Epifania, il diavolo come alleato. Infatti dal 31 dicembre tutta la zona intorno a Rieti fu scossa da periodici movimenti sismici. La notte di Capodanno il paesino di Rivodutri, che fu l'epicentro delle scosse, venne quasi completamente distrutto: soltanto il cinque per cento delle case rimase intatto. Una seconda scossa, quella del giorno 5, fece le prime due vittime : una donna di cinquantasei anni fu schiacciata dalle travi del soffitto, e un'altra di trentasei, per lo spavento provato, mori di paralisi cardiaca. A quella data però non si trovavano più in paese che pochissime persone, e l'esempio di Rivodutri venne imitato da tutta la zona intorno a Rieti; anzi il terrore giunse fino a Terni, Narni, Spoleto e Foligno. Anche l'Aquila rimase semideserta per qualche giorno; a Rieti, poi, tutti i negozi, dal giorno cinque, furono chiusi.

La fuga verso le campagne di tutta questa gente aveva assunto nel suo tragico disordine un aspetto biblico. Un osservatore presente riferì che in quelle regioni, alla vigilia dell'Epifania, si viveva in un' "atmosfera da anno mille". Le popolazioni vissero accampate e dcrmirono in costruzioni di fortuna. Tende e baracche furono acquistate a cifre enormi, chi non poteva si accontentò di costruirsi capanne di frasche, oppure tende improvvisate, fatte con vecchie coperte, tappeti stinti o teli mimetici.

Per cinque giorni la gente visse così: un giaciglio per una sola notte, che al primo di gennaio si poteva ottenere per mille lire, salì alla vigilia del 6 fino a cinquemila. Il prezzo di un letto in una casa colonica raggiunse le diecimila lire. La mortalità fra gli abitanti dei dintorni di Rieti si accrebbe notevolmente, soprattutto fra i malati di cuore. Complessivamente otto persone si tolsero la vita.

Contemporaneamente la psicosi di terrore raggiunse un livello tale che le notizie più allarmanti venivano immediatamente credute, rese apocalittiche e si spargevano con incredibile rapidità. La sera del 4 un giovanotto di Poggio Bustone uscì di casa gridando che alla radio era stato annunciato un violento terremoto per le ore ventidue. Si trattava solamente di uno scherzo, ma per tutta la notte si ebbero nel paese scene di indescrivibile panico.

La suggestione collettiva fece vedere ad alcuni contadini, nei dintorni di Rivodutri, delle fiamme che uscivano dal terreno e si sparse così la convinzione che in tutta la zona compresa tra Aquila e Rieti avrebbe dovuto aprirsi il cratere di un enorme vulcano, origine di un lago con le acque bollenti.

In questa ondata di terrore la superstizione ebbe la sua parte : una gran folla, infatti, prese la via del monte Terminillo, dove chi sa perché tutti erano certi che non si sarebbe avuta alcuna scossa. Anche i meno impressionabili furono turbati da due fatti singolari: l'elevarsi improvviso della temperatura, a quindici, diciotto gradi sopra zero, che, a quanto pare, è quella ideale per i terremoti. Inoltre le acque già limpidissime del torrente Dei Molini, che nasce dietro Rivodutri, assunsero fin dal giorno 4 il colore della cenere. La commissione di assistenza pontificia improvvisò cucine da campo per i senzatetto, il primo battaglione dei gran. di stanza a Roma venne inviato nei dintorni di Rieti per assistere i fuggiaschi.

Rinforzi di polizia furono mandati un po' dappertutto nella regione laziale. Anche altrove, a distanza dal centro del terrore, si ebbero manifestazioni sporadiche di panico. Così a Fabriano i turni di notte in una fabbrica si dovettero sospendere perché gli operai erano sfollati in campagna.

 

  

 

 

I Detti

I Soprannomi